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LA TRANSIZIONE ENERGETICA GLOBALE

Nel panorama attuale dell’energia mondiale emerge con forza un assioma che non può più essere ignorato: lo sviluppo rapido e capillare delle fonti rinnovabili rappresenta non solo un’opportunità, ma una condizione improrogabile per rispondere simultaneamente a quattro sfide cruciali; ovvero riduzione dei costi della bolletta, mitigazione delle emissioni climalteranti, abbattimento dell’inquinamento connesso alla combustione fossile e rilancio dell’occupazione e dell’innovazione.

Le recenti analisi indicano che le tecnologie rinnovabili stanno guadagnando piena competitività economica rispetto ai combustibili fossili. Ad esempio, i costi dell’elettricità prodotta da solare fotovoltaico (PV) e da eolico on-shore sono ormai inferiori, in molti casi largamente inferiori, rispetto a quelli di nuove centrali a gas o carbone.

In concreto, ciò significa che una transizione accelerata verso le rinnovabili può tradursi in bollette inferiori per famiglie e imprese; un risultato tanto più importante in un contesto globale segnato da incertezze sui prezzi dei combustibili fossili e dalla volatilità dei mercati energetici.

Inoltre, la localizzazione delle fonti rinnovabili (solare, eolico e idroelettrico) riduce la dipendenza dalle importazioni di energia e dalle fluttuazioni geopolitiche, proteggendo meglio i consumatori.

Il settore energetico è oggi responsabile di gran parte delle emissioni di gas a effetto serra (GHG) e dei principali inquinanti atmosferici (PM2,5, NOx, SO₂) che causano malattie e decessi prematuri. Le morti da inquinamento ambientale sono stimate in milioni di unità ogni anno a livello globale. Le rinnovabili contribuiscono ad abbattere significativamente queste emissioni. La transizione energetica, infatti, può risultare in un risparmio ambientale e sanitario rilevante.

Secondo l’ONU, se si raggiungerà l’obiettivo di circa 90% dell’elettricità mondiale prodotta da rinnovabili entro il 2050, i benefici ambientali e sociali saranno enormi. Inoltre, accantonare progressivamente carbone, petrolio e gas nella generazione elettrica riduce l’impatto dell’estrazione, del trasporto e della combustione dei fossili e questo comporta meno malattie respiratorie, cardiovascolari, meno centrali inquinanti nei pressi delle aree urbane e una maggiore qualità della vita per le comunità.

Parallelamente, la mitigazione del cambiamento climatico – resa possibile da una decarbonizzazione rapida – evita costi futuri legati a eventi estremi, degrado ambientale e spese di adattamento. Insomma, non c’è tempo da perdere per proseguire, accelerando, nella direzione della transizione energetica.

Un altro degli argomenti più convincenti a favore delle rinnovabili riguarda l’occupazione e l’innovazione tecnologica. I dati mostrano che il numero di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili è in forte crescita: nel 2023 le fonti pulite impiegavano oltre 16 milioni di persone a livello globale (IRENA) e la stima è che la transizione energetica potrebbe generare fino a 40 milioni di posti di lavoro entro il 2050, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e nei settori della produzione di componenti, installazione, manutenzione, modernizzazione delle reti e soluzioni di efficienza energetica.

In termini di innovazione, lo sviluppo delle rinnovabili stimola catene del valore nuove, produzioni locali, accumulo energetico, digitalizzazione della rete, sistemi integrati e collaborazioni internazionali. Ciò comporta un effetto moltiplicatore sull’economia non solo nei comparti strettamente energetici, ma anche nei settori della mobilità elettrica, dell’edilizia a basse emissioni, dell’idrogeno verde e dell’economia circolare. In sintesi: investire in rinnovabili significa investire nel futuro dell’occupazione stabile e dell’innovazione sostenibile.

È importante sottolineare che solo lo sviluppo sistematico e capillare delle fonti rinnovabili permette di ottenere contemporaneamente tutti gli effetti descritti: costi più bassi, emissioni ridotte, riduzione dell’inquinamento atmosferico, aumento dell’occupazione, innovazione industriale. Le fonti fossili oggi non sono più competitive nonostante il mancato conteggio dei sussidi, delle esternalità non contabilizzate (salute, clima) e dei costi geopolitici!

Una transizione che continui a dipendere dai fossili – gas, carbone, petrolio – non potrà garantire né la velocità né la democratizzazione della produzione energetica: le infrastrutture fossili richiedono grandi capitali, materie prime, catene di approvvigionamento globali e restano fortemente esposte a instabilità geopolitica, come stiamo vedendo con il gas russo o degli altri Paesi in guerra.

La dimensione geopolitica della crisi energetica mondiale non può essere ignorata: le guerre e le tensioni internazionali sono strettamente intrecciate con gli interessi degli idrocarburi e delle infrastrutture fossili; un legame che rischia di rendere instabile l’intera transizione verso le rinnovabili e, nel contempo, di rafforzare l’argomento secondo cui solo una diffusione globale delle fonti pulite potrà garantire la vera democrazia energetica.

In questo contesto si inserisce la strategia degli Stati Uniti per la promozione del gas da fracking e del GNL verso l’Europa, come contrappunto alla dipendenza dal gas russo. Alcuni analisti sottolineano che dietro l’offerta statunitense vi sia una diretta volontà di sostituire la leva energetica russa con quella americana, garantendo accesso a consumatori europei più sensibili e meno penalizzati da infrastrutture russe.

In tale dinamica, il tema dei dazi e degli incentivi commerciali diventa rilevante: ad esempio, è stato segnalato che l’amministrazione Trump ha legato la rimozione (o l’imposizione) di barriere commerciali all’impegno degli acquirenti europei a importare gas statunitense, enfatizzando come “sicurezza energetica” e commercio degli idrocarburi siano strumenti politici.

Tutto ciò ha una implicazione chiara: finché l’architettura energetica mondiale resterà centrata sulle fonti fossili, le guerre, le tensioni e le alleanze dipenderanno anche da temi energetici legati alle fossili; al contrario, lo sviluppo su vasta scala delle rinnovabili – decentralizzate, più democratiche, più localizzabili – può offrire una via d’uscita da questo circolo vizioso, anche per questo la strada della completa transizione energetica deve essere velocizzata quanto più possibile.

Da un lato vediamo che la quota delle rinnovabili nell’elettricità mondiale cresce sensibilmente, come nessun’altra fonte, e ha raggiunto un punto di svolta grazie alla combinazione di costi in discesa, economie di scala e diffusione delle tecnologie. Dall’altro lato, però, il ritmo rimane ancora insufficiente rispetto alla scala e alla velocità dell’azione necessaria per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e contenere il riscaldamento globale ben al di sotto di +1,5 °C.

In particolare, gli investimenti annuali nelle rinnovabili dovranno triplicare fino a circa 4 trilioni di dollari l’anno entro il 2030, come richiede l’ONU. Ciò comporta che ogni Paese deve considerare la transizione energetica non come episodio, ma come progetto strutturale decennale con roadmap chiare, politiche industriali coerenti, incentivi alla produzione locale, modernizzazione delle reti elettriche, accumulo e smart grid.

In sintesi, il mondo si trova davanti a una scelta: continuare a investire nelle vecchie infrastrutture fossili – accettando costi elevati, emissioni persistenti, dipendenze geopolitiche e opportunità occupazionali limitate – oppure accelerare la diffusione delle fonti rinnovabili e creare una nuova architettura energetica globale più sostenibile, più equa, più competitiva.

Per le nazioni, per le imprese, per le famiglie il messaggio è chiaro e senza equivoci: la transizione energetica non è più un’opzione tra tante, ma è la strada obbligata se vogliamo un pianeta vivibile, sistemi economici resilienti e società più giuste. n