Le aste GSE del FER X transitorio dovevano rappresentare un’accelerazione verso gli obiettivi di decarbonizzazione. I risultati, invece, lasciano più di un dubbio sulla traiettoria del sistema energetico italiano, tra carenze di progettazione, sostegni economici insufficienti e ritardi regolatori.
Il sistema italiano delle aste per le fonti rinnovabili ha vissuto con il decreto FERX transitorio un banco di prova decisivo in vista dei nuovi meccanismi di incentivazione attesi per fine 2025, il cui ritardo nell’emanazione preoccupa il settore.
Con l’obiettivo di assegnare in via temporanea quote significative di potenza elettrica rinnovabile (4 GW per l’eolico e 8 GW per il fotovoltaico) il GSE ha chiuso in questi giorni la procedura d’asta, rivelando però un quadro di luci e ombre; infatti, se per il FV si è almeno saturato il contingente con le offerte presentate, per l’eolico, come l’ANEV aveva largamente segnalato, le offerte sono state assai inferiori al contingente (1,7 GW a fronte di 2,5 GW).
Bisogna ricordare, tra l’altro, che il dato dell’eolico è estremamente critico alla luce della potenza prevista di 4 GW e del risultato di offerte presentate di soli 1,7 GW, ovvero poco più di un terzo del target previsto.
Questo risultato è figlio di un errore di definizione delle tariffe a base d’asta che hanno fatto ridurre sensibilmente il numero di offerenti nel meccanismo GSE, a vantaggio della scelta del libero mercato.
Se oggi il mercato esprime prezzi attorno ai 110 €/MWh, con una previsione che resta nel medio periodo non inferiore ai 90 €/MWh, non si capisce perché un operatore strutturato e capace di far fronte al finanziamento delle iniziative debba rinunciare a tale margine.
Il risultato, tuttavia, è un minor beneficio per la bolletta elettrica del Paese che, per “risparmiare” 10 € in asta GSE, ne perderà assai di più nella bolletta elettrica.
Se poi consideriamo che questi impianti li vedremo in esercizio non prima del 2028, ci rendiamo conto di quanto quest’asta sia stata uno spreco per il settore e come questo ritardo difficilmente potrà essere colmato, salvo tempestivi correttivi ed emanazione del nuovo DM FER X definitivo.
Le cause della scarsa presentazione di offerte sono molteplici, ma il fattore principale appare chiaro: i livelli di incentivo previsti dal bando si sono rivelati insufficienti per attrarre una massa critica di operatori tale da raggiungere gli obiettivi settoriali.
I prezzi di base d’asta non adeguati all’aumento dei costi delle materie prime, che hanno aumentato i capex, e l’incertezza normativa su autorizzazioni e buon fine dei processi autorizzativi, rendono oggi insostenibile investire in eolico con valori così modesti
Il risultato è una sottoscrizione drammaticamente al di sotto delle aspettative, che rischia di compromettere l’intera traiettoria di crescita del settore.
Diverso il caso del fotovoltaico, nel quale i prezzi a base d’asta erano più interessanti, dove si è registrato una maggiore risposta da parte degli operatori, seppur non ancora soddisfacente.
Su 8 GW di potenza elegibile, sono state presentate offerte per oltre 10 GW, a conferma della più adeguata individuazione dei livelli di partenza dei prezzi delle aste; tuttavia, anche qui è lecito domandarsi se non si potesse e dovesse fare ancora di più.
Le potenzialità di crescita del fotovoltaico in Italia restano infatti molto elevate, sia per motivi economici (è oggi tra le tecnologie più competitive) sia per la disponibilità di siti.
Nonostante ciò i vincoli regolatori e le incertezze autorizzative hanno limitato l’effettiva capacità del sistema di portare a gara una platea più ampia di progetti bancabili e pronti. In sostanza, l’abbondanza di domande rispetto all’offerta è una buona notizia, ma fotografa anche un collo di bottiglia normativo che frena il potenziale complessivo.
Un altro elemento chiave di riflessione riguarda l’argomento, spesso citato, della “saturazione virtuale” della rete elettrica. È vero che in alcune aree del Paese la disponibilità di capacità di trasporto è limitata, ma non si può attribuire solo a questo il rallentamento delle nuove installazioni e, soprattutto, tali congestioni sono oggetto di interventi da parte di Terna affinché vengano risolte.
Questo tema meriterebbe un approfondimento maggiore che, ne siamo convinti, porterebbe a una soluzione diversa da quella che il Governo prospetta.
Sarebbe infatti sufficiente, anche alla luce dei recenti rallentamenti nelle nuove installazioni FER, potenziare le strutture e rendere più rapidi i processi; questo farebbe pulizia di una buona parte delle richieste di connessione pendenti grazie al fatto che molte sono sovrapposte e quindi decadrebbero.
Il dato più allarmante è che nel 2025 si prospetta l’installazione di meno GW rispetto al 2024, segnando una inversione di tendenza dopo anni di crescita, seppur moderata. Ciò dimostra che il problema principale oggi non è tanto tecnico, ma piuttosto di governance del sistema: ritardi, burocrazia e mancanza di segnali stabili sul medio periodo stanno generando sfiducia tra gli investitori, con conseguente rallentamento degli sviluppi.
Grave è anche lo stallo del settore eolico offshore. Ad oggi nessuna asta è stata ancora prevista per questa tecnologia, nonostante il potenziale significativo dell’eolico marino lungo le coste italiane, soprattutto al Sud.
I progetti più avanzati (in particolare nel canale di Sicilia, nell’Adriatico e nel Tirreno) restano in attesa di una cornice normativa e procedurale per avanzare verso la cantierizzazione.
Il Governo dovrebbe considerare l’attivazione immediata di procedure dedicate per i progetti offshore che hanno già superato le fasi autorizzative cruciali e che abbiamo l’autorizzazione. Non solo per contribuire agli obiettivi energetici, ma anche per stimolare una filiera industriale nazionale che potrebbe diventare un asset strategico nel Mediterraneo.
In questo scenario, i ritardi nell’emanazione dei nuovi decreti di sostegno alle rinnovabili o attuativi (FER X definitivo, aste FER 2 ecc.) rischiano di incidere pesantemente sulla traiettoria di decarbonizzazione del settore elettrico.
Senza un’accelerazione significativa degli investimenti in capacità rinnovabile, il sistema italiano continuerà a dipendere in larga parte dalle fonti fossili, con due conseguenze dirette: il mancato abbattimento delle emissioni e il mantenimento di prezzi dell’energia elevati per famiglie e imprese.
È bene ricordare che le FER, per loro natura, non solo riducono la dipendenza energetica dall’estero, ma esercitano anche una pressione al ribasso sul prezzo marginale dell’energia, in quanto caratterizzate da costi variabili prossimi allo zero. Più rinnovabili nel sistema significa, in prospettiva, bollette più basse e maggiore competitività per il tessuto produttivo.
Il bilancio del FER X transitorio è, nel complesso, deludente. L’occasione di una spinta forte alle nuove installazioni non è stata colta appieno e gli squilibri tra settori (eolico in affanno, fotovoltaico limitato) fotografano una governance poco efficace.
Servono ora segnali forti, coerenti e tempestivi da parte del Governo per rimettere in carreggiata la transizione energetica. Il tempo a disposizione per raggiungere gli obiettivi 2030 si assottiglia e ogni ritardo rischia di trasformarsi in un costo economico, ambientale e sociale n