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UN CAMBIO PROFONDO DI POLITICA E INDUSTRIA

Il 2024 sarà un anno particolarmente importante nella definitiva predisposizione degli strumenti necessari ad avviare, nei tempi previsti, il processo di decarbonizzazione del nostro Paese.

Gli impegni assunti in sede comunitaria indicano un obiettivo estremamente impegnativo, il 2030, e se non si lavorerà già da questo anno sarà impossibile avere successo.

Sappiamo, infatti, che i risultati del 2023, seppur incoraggianti, non sono sufficientemente significativi verso il giusto percorso di sviluppo delle nuove rinnovabili.

Ad esempio, i lunghi processi autorizzativi sono assolutamente incompatibili con gli obiettivi di decarbonizzazione. Il Piano nazionale integrato energia clima pone target settoriali sfidanti che saranno raggiungibili solo con un significativo contenimento di questi iter!

Più nel dettaglio, andrebbero chiariti gli aspetti relativi ai pareri delle Sovrintendenze, sia in termini di tempistiche sia in termini di cogenza degli stessi nelle aree non vincolate o, addirittura, in quelle idonee.

Sarebbe già molto riuscire ad avere meccanismi trasparenti, chiari, e tempi certi che garantiscano agli investitori (sempre più preoccupati) di avere procedure di facile lettura.

Gli interventi da mettere in atto sono pochi, ben mirati e rispondenti alle sollecitazioni che giungono dall’Europa; istanze che il Governo italiano ribadisce in ogni contesto di voler agevolare.

E allora perché da troppi anni non seguono i fatti nell’introduzione delle necessarie semplificazioni?

Potremmo dire di una complessità della normativa nazionale, di un Paese più critico da un punto di vista del paesaggio, di una maggiore attenzione dei nostri governanti verso le osservazioni delle minoranze più rumorose e ai comitati del no, ma tutto questo si scontra nel confronto impietoso con i medesimi processi semplificativi avuti in questi ultimi anni per altri settori industriali.

Abbiamo visto come autorizzazioni lunghe e burocrazia non esistano per il rigassificatore di Piombino, ritenuto strategico, o per il rilancio delle mini centrali nucleari ipotizzato da questo Esecutivo.

E allora: perché burocrazia, mancanza di decreti attuativi e sindrome Nimby sembrano riguardare solo le rinnovabili e non gas o nucleare?

Forse le opposizioni a eolico e fotovoltaico sono una sorta di “scusa” per mantenere lo status quo? Per non disturbare l’industria fossile che ancora pesa sulle decisioni dell’Esecutivo? E se così fosse come riesce quel settore a far prevalere un interesse, per carità legittimo, ma così di parte rispetto a quello più diffuso e universalmente riconosciuto della sostenibilità?

Certamente uno dei motivi di pressione maggiore che le grandi aziende del settore fossile esercita sui pubblici decisori è quello dell’occupazione che, si sa, colpisce molto la politica.

Ma da un’analisi oggettiva dei livelli occupazionali attuali e di quelli possibili in futuro, basata sulla realizzazione della transizione energetica, emerge come le persone attive in un mondo decarbonizzato saranno assai maggiori rispetto ad oggi.

Il punto è che quei risultati occupazionali saranno garantiti non solo dalle attuali aziende di Stato, che probabilmente vedranno un ridimensionamento dei loro livelli, ma da società private che in questo mondo sono partite prima e meglio.

In questo contesto un ruolo fondamentale è quello delle associazioni di categoria che dovrebbero mettere a disposizione dei pubblici decisori studi utili sulla strada da intraprendere verso il bene comune.

Tuttavia, e anche questo è normale e legittimo, un’associazione che veda al suo interno una maggioranza di quel mondo fossile faticherà a individuare come percorso di crescita quello contrario agli interessi delle aziende che esprimono una significativa quota all’interno dell’associazione stessa.

È per questo che immaginare una spinta autodistruttiva all’interno di vecchi apparati è quantomeno irrealistico; solo dai nuovi corpi intermedi, portatori di interessi futuri, potremmo avere il supporto necessario a realizzare gli obiettivi di sostenibilità.

Serve un rafforzamento della rappresentanza associativa illuminata, espressione del nuovo sistema industriale necessario a supportare la transizione energetica.

Solo così si potrà raggiungere il bene comune che, evidentemente, è sempre da preferire rispetto agli interessi di qualcuno; la politica deve capire che finalmente è arrivato il momento di seguire con coraggio una nuova visione di futuro, evitando di continuare a sostenere un sistema vecchio e che non ha nessuna prospettiva.