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La difficile via verso la transizione ecologica

La situazione dell’eolico in Italia vede una capacità installata pari a 11.035 MW. Il nostro Paese si posiziona al sesto posto in Europa, pur avendo un potenziale importante. Altre realtà come la Germania, la Spagna e il Regno Unito puntano alle rinnovabili in maniera più incisiva, introducendo quadri normativi certi. Il Italia le fonti rinnovabili e l’eolico, in particolare, risentono dell’azione delle Soprintendenze che puntualmente bloccano i progetti. Superare questa impasse, dando la possibilità ai progetti di essere valutati senza pregiudizi, definendo regole e criteri trasparenti e velocizzando gli iter, porterebbe benefici al settore con conseguenti ricadute positive in termini economici, ambientali e occupazionali.

Siamo oggi in una fase molto delicata per l’aumento dei costi del gas e per i mutamenti climatici che mettono a rischio il nostro Pianeta e quindi l’Italia. Infatti, il nostro è il secondo Stato europeo per danni collegati al cambiamento climatico e desertificazione. Inoltre, si stima che al 2030 i consumi di energia elettrica arriveranno a 360 TWh ed è necessario che quanto più possibile di tale quota sia coperta da fonti energetiche rinnovabili, svincolate dalle forniture di gas e carbone esteri, onde evitare gli attuali livelli di prezzo insostenibili.
La politica deve intervenire subito, completando l’opera di semplificazione autorizzativa per i nuovi impianti e per il rinnovo degli stessi, definendo le “aree idonee” come tutte le aree che non abbiano vincoli incompatibili con l’eolico e target rinnovabili aggiornati e in linea con i nuovi obiettivi UE, programmando nuovi sistemi si supporto per le rinnovabili differenziati per tecnologie e che tengano conto dei costi di tali soluzioni, così da garantire una significativa riduzione dei costi della bolletta elettrica del nostro Paese.
Il PNRR predisposto dall’Italia ha dato ulteriore certezza al fatto che la transizione ecologica è necessaria per il nostro Paese e per il Pianeta. Occorre correggere le storture burocratiche che possono frapporsi alla realizzazione dei piani e andare avanti, senza dimenticare che la vera arma contro l’aumento del prezzo del gas e dell’energia sono le energie rinnovabili ed è su queste che dobbiamo puntare. Inserire un tetto al prezzo del gas o all’energia elettrica prodotta con il gas non è la strada giusta, evitare le speculazioni invece sì. Servirebbe quindi un meccanismo che consentisse di remunerare ogni fonte per quello che è il costo effettivo, in questo modo si potranno scegliere le tecnologie più efficienti. Va da sé che nel costo delle tecnologie dovremmo inserire anche i costi ambientali che oggi non ci sono.
Purtroppo, l’attuale situazione energetica rischia di rallentare la corsa verso la transizione ecologica. Basti pensare che il settore delle rinnovabili è stato già sottoposto a provvedimenti punitivi con le misure sugli extraprofitti e del “tagliabollette”; due provvedimenti molto penalizzanti per i produttori di FER che, ricordiamolo, non sono la causa della crisi ma una delle soluzioni.
Purtroppo, oltre a questo il ritardo nella realizzazione di nuovi impianti è dato in larga parte da una incredibile miopia che molti politici hanno. Infatti, in nome di una supposta tutela del paesaggio, vengono bocciati i progetti dalle Soprintendenze. Invece proprio il paesaggio risentirà moltissimo dei mutamenti climatici e, mentre le FER hanno un impatto limitato nel tempo (20 anni per l’eolico), la trasformazione dovuta alla desertificazione, agli impatti idrogeologici di eventi climatici estremi e all’innalzamento delle acque dura per cicli temporali assai più lunghi (per non parlare dell’inquinamento).
Quindi, oltre al danno di non avere politiche efficienti di sviluppo delle nuove energie e di nuovi impianti rinnovabili, superando l’opposizione cieca delle Soprintendenze, abbiamo pure subìto la beffa di due provvedimenti fortemente punitivi per i produttori di energie rinnovabili: il “cap” introdotto per i soli impianti rinnovabili in borsa, che prenderanno un prezzo massimo di € 58,00, e l’introduzione di un meccanismo di extraprofitti che non tiene neanche conto del fatto che il 2021 sia stato l’anno peggiore della storia per quanto riguarda i prezzi dell’energia elettrica.
Gli obiettivi del Fit for 55 possono essere raggiunti solo con un cambio di passo dei pubblici decisori, che dovranno prestare fede alle promesse fatte e non lasciare che siano solo proclami. Sulla carta le premesse ci sono ma nella pratica gli ostacoli sono troppi. Un iter che dovrebbe durare 18 mesi dura in Italia almeno 5 anni.
Si parla molto di “green washing” in questo periodo, cioè quel fenomeno secondo il quale le aziende danno un’immagine di sostenibilità che non coincide con la realtà dei fatti. Questo è quanto spesso fanno le Istituzioni nazionali e di certo non si otterranno in questo modo gli obiettivi che volontariamente l’Italia ha scelto di voler raggiungere in Europa. Certezza e rispetto delle regole è ciò che consentirà di raggiungere quanto deciso in sede UE.
Intanto la crisi internazionale non accenna a diminuire e anzi le tensioni geopolitiche derivanti dall’attacco russo all’ucraina stanno provocando un effetto domino che nel settore energetico ha già dispiegato significativi impatti. Se si considera, infatti, come il prezzo del gas sia schizzato alle stelle in pochi mesi e che gli Stati europei sono passati da una dipendenza russa a una dipendenza più frazionata, meno rischiosa ma altrettanto incerta da altri Paesi con regimi politici instabili, il risultato è che questa giusta volontà di affrancarsi dal gas russo sta comportando forti tensioni sui prezzi di questa materia prima che in ogni alternativa risulta sempre più onerosa per il nostro Paese.
Basti pensare che tutte le forniture aggiuntive ottenute dall’Italia sono state raggiunte ad un costo maggiore. Se tuttavia la partita si giocasse solo sul piano economico e per un periodo limitato non sarebbe una situazione così critica come invece potrebbe essere oggi. Per questo motivo il piano varato dal Governo sulla riduzione dei consumi del gas sembra essere troppo timido, già forse per la parte finale di questo prossimo inverno. Lo scenario peggiore, infatti, è quello nel quale il nostro Paese si dovesse trovare a fronteggiare una mancanza di materia prima tale da non consentire gli usi normali delle utenze domestiche e industriali del gas nella quantità necessaria. Lo scenario cambia completamente se dovessimo immaginare, magari per la fine di questo inverno, un periodo nel quale avremo difficoltà ad avere quantità sufficienti di gas per riscaldare le abitazioni o per produrre beni. Scenario che ovviamente va evitato ad ogni costo, quindi una partenza più decisa nei risparmi di gas sarebbe stata auspicabile, inserendo fin da subito anche utenze industriali nel piano (ovviamente nei limiti dell’economicamente accettabile).
Dall’altro lato manca completamente quella spinta forte e decisa per la sostituzione definitiva delle forniture di gas per i prossimi anni, spinta che dovrebbe poggiare nel completamento della transizione energetica verso lo sviluppo delle rinnovabili. Questo passaggio, infatti, non solo sarebbe facilmente realizzabile grazie alle centinaia di impianti pronti ad essere messi a terra e che invece sono fermi per motivi burocratici dovuti ai no delle Sovrintendenze. Serve un piano straordinario che possa sbloccare in tempi rapidissimi questi impianti e che consenta, insieme agli altri interventi previsti dal Governo, un affrancamento totale dal gas russo entro due anni da oggi.  È un’azione possibile, veloce e che necessiterebbe una urgente predisposizione ed attuazione, cosa che da un lato consentirebbe in tempi rapidissimi di avere una gran quantità di energia elettrica a basso costo per le aziende e per le utenze domestiche e, dall’altro, garantirebbe una veloce transizione energetica verso il modello economico e ambientalmente sostenibile che ci impone l’Europa entro il 2030.
Nei fatti non si tratterebbe neanche di stravolgere lo sviluppo del sistema elettrico nazionale che, infatti, prevede già al 2030 questi numeri, ma si tratterebbe solo di anticipare di qualche anno un percorso già stabilito. Il beneficio in termini economici e geopolitici è evidente a tutti e la possibilità di sbloccare queste iniziative – che ripeto sono già pronte e presentate presso gli uffici competenti in attesa di valutazione già da anni – consentirebbe un rapido intervento nella direzione della riduzione dei costi e delle emissioni climalteranti. Un intervento straordinario di questo tipo avrebbe solo aspetti positivi per il sistema e quindi darebbe un impulso eccezionale alla transizione ecologica. Sarebbe auspicabile che da parte del nuovo Governo si comprendesse questo e si agisse in modo da assicurare in tempi rapidissimi il raggiungimento di quell’obiettivo che invece rischia di allontanarsi. Costruire rigassificatori, studiare il nucleare di nuova generazione, immaginare sistemi innovativi basati su tecnologie non ancora mature, sono parti fondamentali della ricerca e dello sviluppo del sistema elettrico ed industriale nazionale ma devono essere inquadrati nelle azioni di medio lungo periodo che potranno dare dei contributi concreti ben dopo il 2050, mentre la realizzazione in tempi rapidissimi di eolico e fotovoltaico, già tecnologicamente ed economicamente maturi e pronti ad essere costruiti, sono interventi di breve periodo utili e compatibili con il disegno finale del Piano Nazionale Energia e Clima del nostro Paese.
Non c’è quindi tempo da perdere ma si deve procedere con un’azione straordinaria che riconosca l’eccezionalità del momento e la necessità di intervenire con misure forti per avere energia elettrica abbondante e a basso costo. Il governo deve sbloccare gli oltre 15 GW di rinnovabili ferme nelle pastoie burocratiche usando un sistema nuovo, contemperare le priorità attualmente in campo di tutela e salvaguardia del paesaggio rispetto ad altri elementi di valutazione quali ambiente, clima e salute. In quest’opera straordinaria si inseriscano degli elementi di salvaguardia del territorio e del paesaggio che impongano al termine della vita degli impianti lo smontaggio delle opere realizzate. Ogni opera realizzata dovrà essere comunque temporanea e gli impatti anche paesaggistici saranno limitati in un tempo molto ristretto. In quest’ottica anche il superamento dei vincoli delle Soprintendenze sarebbe più facile poiché verrebbe meno un elemento centrale quale quello della durata dell’impatto, da mettere a confronto con la necessità di fronteggiare una emergenza straordinaria quale quella che stiamo vivendo in questo momento.
La logica è quindi di nuove installazioni che fornirebbero energia elettrica a basso costo e senza emissioni climalteranti, mentre gli impatti visivi sarebbero comunque limitati nel tempo di vita utile di questi impianti. Il sacrificio sembra facilmente sopportabile e il beneficio complessivo per i Paesi, in termini economici e ambientali, sarebbe largamente superiore alla riduzione del godimento del bene paesaggistico.
In conclusione, in situazioni gravi si devono porre in campo rimedi straordinari, che tuttavia necessitano di salvaguardie. Oggi ci troviamo in questa situazione ed è urgente che si definisca un piano eccezionale di risposta alla crisi economica, climatica ed ambientale nel settore energetico. Tale risposta si chiama Energia Rinnovabile!