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SERVE UNA CLASSE POLITICA NUOVA PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Viviamo un periodo estremamente complicato, dovuto a un processo di trasformazione epocale del sistema economico e produttivo, che comporterà enormi cambiamenti per ognuno di noi.

Basti pensare che l’obiettivo di decarbonizzare le attività umane comporterà necessariamente una modifica delle abitudini derivanti dalla scomparsa di ogni elemento che oggi genera CO2.

Questa trasformazione viene da una analisi decennale dei dati relativi al clima del pianeta, dallo studio dei migliori scienziati mondiali su quali fossero le cause di tale mutamento e, quindi, di cosa fosse necessario fare per contrastare un processo che, qualora lasciato libero, avrebbe portato enormi devastazioni per il nostro pianeta e per il genere umano.

Tale processo è durato anni e ha dovuto confrontarsi con gli scettici, con chi per interesse difendeva un sistema produttivo a prescindere e con i bastian contrari che in ogni occasione hanno modo di mettersi in mostra.

Tuttavia, piano piano, con lo scorrere delle stagioni, gli effetti devastanti dei mutamenti climatici si sono palesati con tutta la loro forza e hanno creato eventi estremi sempre più violenti, tanto da generare devastazioni senza precedenti. Le analisi sempre più accurate hanno quindi visto le previsioni avverarsi, spesso anche in anticipo, e gli scettici si sono ridotti sempre più, fino a rimanere uno sparuto gruppetto.

A valle di questa sempre maggiore diffusione dell’evidenza scientifica sulle cause del surriscaldamento globale, l’opinione pubblica ha iniziato a chiedere di agire e i decisori pubblici si sono convinti a realizzare meccanismi normativi a livello internazionale che definissero un percorso di annullamento delle emissioni dai processi produttivi.

Oggi abbiamo infatti un quadro normativo che stabilisce per i Paesi europei tempi certi per arrivare alla neutralità carbonica. Parallelamente abbiamo vissuto l’esperienza drammatica della pandemia che, per certi aspetti, ha percorso un sentiero analogo: scoperta del problema, analisi delle possibili implicazioni, individuazione delle soluzioni e norme utili a raggiungere l’obiettivo.

Come per ogni processo, in entrambe le questioni, nonostante le schiaccianti evidenze scientifiche, abbiamo la categoria dei bastian contrari che, spesso utilizzando motivazioni verosimili, costruiscono opposizione a ogni forma di evoluzione e progresso nella direzione della soluzione del problema.

Da un lato, infatti, i no-vax che dicono che gli effetti indesiderati dei vaccini, seppur di qualche ordine di grandezza inferiori ai danni dell’infezione, sono sufficienti a non giustificare l’opportunità di vaccinarsi. Dall’altro, analogamente, i sostenitori del “Nimby” dicono che la diminuzione del godimento del paesaggio, tra l’altro per il solo periodo di vita degli impianti da fonti rinnovabili, non è giustificata dal voler salvare il pianeta dai mutamenti climatici.

Come possiamo vedere si tratta di analoghe posizioni che taluni assumono in completo disinteresse delle evidenze scientifiche, del buon senso e soprattutto del senso civico di voler contribuire a un risultato globale.

La lotta ai mutamenti climatici è complessa, difficile e articolata e si può vincere solo se la strategia complessiva è efficace, le tecnologie individuate disponibili e se ognuno di noi si impegna, pro quota, a fare quanto necessario. Oggi siamo a un ottimo punto, la quasi totalità dell’opinione pubblica è fermamente convinta che si debba urgentemente intervenire, manca forse di più un’azione decisa da parte della politica. Se ci pensiamo, proprio nel nostro Paese manca una forza politica che abbracci le tesi ambientaliste più illuminate, non certo quelle retrograde e nichiliste che hanno caratterizzato il nostro Paese negli anni Ottanta e Novanta, ma una forza innovatrice e capace di indirizzare la politica industriale del Paese verso percorsi solidi e duraturi.

L’Italia ha bisogno di questo, visto che i principali partiti politici hanno dimostrato di non conoscere o di non capire un mondo, quello della cosiddetta green-economy, che già oggi rappresenta il settore strategico su cui puntare se vogliamo sperare di recuperare competitività e se intendiamo far crescere l’occupazione nei settori che per i prossimi decenni guideranno la crescita industriale del vecchio Continente.

Rinnovabili, efficienza energetica e mobilità sostenibile saranno la base dell’industria del Paese e queste tecnologie si affermeranno per la loro convenienza economica più che per i loro benefici ambientali; ciò significa che queste soluzioni, sulle quali dobbiamo puntare con decisione, saranno anche alla base dell’export dei prossimi anni.

Per questo è necessaria una maggiore conoscenza e coscienza di queste tematiche in chi decide le politiche industriali di un Paese: se confrontiamo le dichiarazioni che i nostri politici fanno sulla necessità di semplificare, far crescere e spingere le tecnologie pulite con i risultati che ottengono, risulta chiaro che questi signori o non sanno fare o non vogliono fare e, in entrambi i casi, non saranno in grado di attuare la transizione ecologica necessaria e urgente.