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Energie rinnovabili e agricoltura

Un conflitto o un’opportunità?

Il dibattito aperto su agricoltura ed energia rinnovabile appassiona e pone interrogativi. Vi sono tesi articolate e talvolta contrastanti che riguardano alcune delle sfide fondamentali per il futuro dell’umanità e che potremmo sintetizzare con una semplificazione grossolana: cibo o energia ? Una semplificazione che rende immediata la percezione del tema ma che non dà conto della complessità dei diversi contesti, delle dinamiche che si sviluppano attorno a  questo  argomento e che propone un dualismo che non sempre si presenta come tale. Questo articolo non ha la presunzione di affrontare con approccio analitico una materia che meriterebbe ben altro spazio ed approfondimento, bensì di portare un contributo alla discussione, sicuramente parziale. Parto da tre premesse note ai più ma necessarie ad introdurre questa riflessione.

Permane e si aggrava l’inaccettabile negazione del diritto al cibo per una impressionante moltitudine di esseri umani che vivono nel nostro pianeta. Le cause di questa autentica tragedia non sono soltanto legate ad avverse condizioni ambientali o climatiche ma, in molti casi, sono riconducibili alla sopraffazione, allo sfruttamento, alla corruzione ed alla cinica arroganza di chi calpesta i più elementari diritti umani. Tra i bisogni inalienabili dell’uomo quello dell’alimentazione non può nemmeno entrare in una scala gerarchica; resta primario e fondamentale e non può essere negoziabile. La lotta al cambiamento climatico in atto rappresenta una delle principali sfide della nostra epoca. La stretta relazione tra il consumo di energia fossile e il climate change non è un’ipotesi ma un dato oggettivo: due terzi delle emissioni mondiali di gas serra sono riconducibili al settore energetico.

Abbiamo il dovere di intervenire con urgenza per mitigare i danni già fin troppo evidenti e sviluppare una capacità di resilienza al fenomeno. Le risposte non possono che essere globali, basate su un nuovo concetto di sviluppo nel quale la crescita della green economy può rappresentare un contributo al cambiamento. La terza premessa è per molti aspetti collegata alla precedente: sviluppo ed energia sono elementi tra loro intimamente collegati. Le possibilità di crescita di un paese sono praticamente nulle senza un adeguato approvvigionamento energetico, ma l’attuale modello energetico è basato essenzialmente sui combustibili fossili. I giacimenti non sono diffusi ma concentrati in alcuni punti del pianeta, così come concentrati sono i poteri di chi mantiene il controllo sulla produzione e sulla distribuzione energetica.

L’espansione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili costituisce uno dei pilastri della green economy, è uno dei principali strumenti per la decarbonizzazione del sistema energetico, ma può anche rappresentare un formidabile strumento per promuovere la democrazia energetica, cioè il diritto di ogni comunità all’ accesso all’energia. Dobbiamo garantire l’alimentazione per tutti ma nel farlo non possiamo devastare le risorse naturali. Dobbiamo assicurare l’accesso all’energia per tutti ma se raggiungessimo questo obiettivo prevalentemente attraverso i combustibili fossili, gli effetti negativi del cambiamento climatico si riverserebbero in primis sulle coltivazioni e sui territori agroforestali. Dobbiamo promuovere le energie rinnovabili, non per una elite di privilegiati ma a beneficio di tutti. 

In questo contesto generale si colloca il tema più specifico “cibo-energia”. È possibile un modello di sviluppo sostenibile delle fonti rinnovabili di energia, ed in particolare quelle che sono direttamente correlate alla sfera biologica e al suolo agro-forestale,  che non determini conflitti con la produzione di alimenti  e di altri prodotti del sistema agroforestale? 

La  risposta, a mio avviso, è affermativa, è un risultato  conseguibile a certe condizioni e che presuppone un approccio non ideologico e libero da pregiudizi. La vera questione non è CIBO o ENERGIA, bensì CIBO ed ENERGIA, dare per scontato che  l’uno necessariamente escluda l’altra è un errore o, per l’appunto, un pregiudizio. Ritengo sia possibile, nel rispetto di precisi presupposti, produrre per l’alimentazione in via principale e contestualmente contribuire alla produzione energetica rinnovabile e attraverso questa  allo sviluppo economico del paese e delle comunità locali. La relazione tra agricoltura ed energia è antichissima.

Anche nelle zone rurali dei paesi più sviluppati, prima della diffusione del motore endotermico e dell’era del petrolio e del gas, circa un terzo della superficie delle aziende agricole era destinata all’alimentazione del bestiame da tiro e da trasporto (buoi e cavalli  erano la vera forza motrice) e alla produzione di legna per riscaldare e cucinare. Quanto al sistema forestale , esso ha costituito in passato una fonte primaria per il riscaldamento di generazioni e generazioni, funzione che tutt’ora svolge sia pure in un quadro di mutate condizioni e di tecnologie di conversione energetica che  oggi consentono alti livelli di efficienza energetica e basse emissioni. L’agricoltura fin dalle sue origini non è mai stata finalizzata alla sola produzione alimentare ma anche ad altri beni come le fibre tessili (il cotone, la lana, la seta, la canapa, ecc), materiali da costruzione, coloranti naturali, medicinali, profumi ed in futuro sarà sempre più chiamata a produrre biopolimeri ed altri prodotti utili biobased, a ridotto impatto ambientale.

Inoltre sono sempre più richiesti e riconosciuti al settore primario funzioni e servizi quali la difesa del suolo, la manutenzione del territorio e la valorizzazione del paesaggio, anche se quasi mai remunerate. L’agricoltura attuale può essere rappresentata sommariamente in tre grandi categorie: 

  • dei paesi più sviluppati che ha connotati di forte specializzazione, diversificazione produttiva, e che si rivolge soprattutto ad un mercato molto articolato, più esigente e solvibile;
  • dei paesi in via di sviluppo spesso caratterizzata dal latifondo, dalle colture estensive, dalle commodity, senza particolari caratteristiche qualitative;
  • dei paesi poveri che è spesso un’agricoltura di sussistenza, destinata a fornire cibo alle stesse popolazioni rurali che coltivano la terra e alle comunità locali, salvo registrare anche in questi contesti e sempre più spesso il grave fenomeno del land grabbing cioè la razzia delle terre, ovviamente quelle più fertili, ad opera di potenti gruppi economici.

Le fonti di energia rinnovabile più direttamente correlate al settore primario sono le biomasse solide (principalmente biomasse legnose), le biomasse destinate alla produzione di biocarburanti e le biomasse destinabili alla produzione di biogas. In tutte queste tipologie possiamo riscontrare  al contempo delle criticità o delle opportunità a seconda di come vengono finalizzate e soprattutto in che contesto e in quale tipo di territorio vengono realizzate. Possiamo utilizzare tre esempi per rappresentarle in senso negativo e positivo:

  • sollecitare azioni di disboscamento di foreste primarie dell’Africa o dell’America Latina  per destinare le biomasse legnose ad alimentare i grandi impianti di produzione elettrica del nord Europa è una pratica inaccettabile. Promuovere la gestione forestale sostenibile anche con la finalità di produrre biomasse a scopo energetico per esempio per alimentare reti di teleriscaldamento al servizio delle comunità locali è una pratica da sostenere ;
  • una valida alternativa ai carburanti fossili non può essere costituita da  grandi estensioni a seminativi da avviare alla produzione di biocarburanti, ma organizzare gruppi di agricoltori per produrre biometano da destinare alla autotrazione, attraverso effluenti zootecnici, sottoprodotti agro-industriali, colture da integrazione, è sicuramente una strada giusta da perseguire;
  • produrre energia elettrica dal biogas generato da colture dedicate indifferenziate non può costituire un modello sostenibile da diffondere, ma sostenere la cogenerazione efficiente ottenuta dal biogas prodotto principalmente con i sottoprodotti provenienti dalle aziende zootecniche o con colture da integrazione che non sottraggono terreno al food, valorizzando il digestato per migliorare la fertilità del terreno, è una positiva opportunità per gli agricoltori e per il paese.

Esempi che certamente non hanno la pretesa di esaurire un quadro ben più articolato di situazioni, ma che servono a declinare un modello possibile e realizzabile fin d’ora.

Non può sfuggire all’approfondimento la necessità di non generalizzare modelli, dimensioni e soluzioni; le condizioni sono profondamente diverse rispetto ai differenti contesti delle realtà agricole del pianeta, sarebbe velleitario non tenerne conto.

Tuttavia è possibile di volta in volta ricercare sistemi adatti a cogliere le diverse opportunità. Continuando ad usare il metodo dell’esempio, in un territorio agricolo siccitoso e povero dell’Africa sarebbe improponibile produrre il biogas, ma molto utile ed efficace invece diffondere un sistema di solare a concentrazione a scala domestica per cucinare i cibi ed evitare estenuanti ricerche di legna, ovvero sviluppare parchi eolici o fotovoltaici al servizio dello sviluppo economico di questi paesi e per un ampio e diffuso accesso delle popolazioni all’energia elettrica. 

È possibile quindi, a mio avviso, tracciare un percorso, un insieme di principi che possono costituire la base di un modello applicabile alle  bioenergie sostenibili, a qualunque latitudine o ambito esse siano realizzate:

1) La condizione principale per avviare esperienze positive nelle realizzazioni bioenergetiche è partire dal contesto, dal territorio e le sue risorse, dalle comunità locali, dalle situazioni economiche, sociali ed ambientali; 

2) I benefici economici e sociali prodotti dalla realizzazione bioenergetica, devono sempre coinvolgere le realtà locali;

3) Le dimensioni, l’entità degli interventi, possono avere scale diverse: domestiche, al servizio delle comunità e delle imprese locali, ad utilità generale per la collettività di un intero paese, ma in nessun caso si può prescindere dalla loro sostenibilità; 

4) L’approccio integrato è quello che meglio esprime le potenzialità agrienergetiche perché valorizza adeguatamente i sottoprodotti, le colture da integrazione, una gestione sostenibile ed efficiente del patrimonio agricolo, zootecnico e forestale;

5) le politiche di sviluppo devono essere orientate a sostenere e diffondere le realizzazioni e le esperienze che corrispondono a questi principi.

È necessario evitare un inutile fatalismo, combattere le speculazioni che millantano – nel nome delle rinnovabili per riprodurre nuovi monopoli e ingiustizie – ma è altrettanto necessario contrastare  un approccio pregiudizialmente contrario a qualsiasi realizzazione in campo agrienergetico nella difesa ideologica di una agricoltura bucolica e lontana dalla realtà